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martedì 12 novembre 2019

Inchiesta Termometro Politico: “Segre non riceveva 200 insulti al giorno, non aveva bisogno di scorta”. Ma poi Repubblica…



Liliana Segre vittima di odio online? E’ vero, peccato che l’odio sia aumentato esponenzialmente solo dopo l’articolo di Repubblica che denunciava la discriminazione sui social della senatrice, poi diventata simbolo e testa d’ariete della Commissione che ne riprende il nome. E dietro ci sarebbe una bieca strategia di marketing.
L’inchiesta di Termometro Politico
Lo svela in un’inchiesta per Termometro politico Nicolò Zuliani. Rifacendosi ai dati dell’Osservatorio sull’Antisemitismo italiano, Zuliani commenta: “Sabato 26 ottobre, su Repubblica, a firma di Pietro Colaprico è uscito un articolo intitolato “Liliana Segre, ebrea. Ti odio” Quegli insulti quotidiani online. All’interno cita un rapporto dell’osservatorio antisemita e sostiene che la Segre riceva 200 insulti al giorno. Il rapporto esce due giorni dopo e dice una cosa diversa; i dati si riferiscono al 2018, non al 2019. Gli episodi di antisemitismo sono 197 all’anno, non 200 al giorno“.
Altre vittime, meno “eccellenti”
“La scorta è stata data a Liliana Segre e non a Gad Lerner, a Parenzo, a Mentana o Fiano” commenta Zuliani “eppure la nostra Liliana nazionale non era presa più di mira di Gad Lerner”. Secondo i dati riportati da Zuliani, infatti, i giornalisti di origine ebraica come la Segre hanno ricevuto la medesima quantità di “insulti” sui social, se non maggiore. Eppure, non sono stati resi protagonisti di una crociata contro l’hatespeech.
“Una crociata farneticante”
Come osserva acutamente il giornalista, ciò che è scaturito dal primo articolo di Repubblica a firma di Colaprico “è stata una decisione emotiva costruita su un articolo emotivo scritto sulla base di commenti emotivi concepiti da scimmie emotive che ora sono ancora più emotive, sono ancora più determinate nella loro crociata farneticante, che non è l’antisemitismo o il razzismo: è l’ego“.
L’impennata di “odio”
Secondo Zuliani, inoltre, prima dell’articolo in cui si denunciavano questi famosi “200 insulti al giorno” la Segre non riceveva affatto quell’attenzione sgradita sui social, mentre dopo sì, eccome: “Prima dell’articolo Liliana Segre non riceveva 200 insulti e non aveva bisogno di scorta” ora invece “è pure diventata un bersaglio per tutti quegli animali analfabeto-psicotici che se sentono profumo di cinepresa non esitano a fare le cose più turpi e immonde col sorrisetto ebete
La strategia dell’hatebaiting
“Si potrebbe dire che è procurato allarme” scrive Zuliani. , ma ripeto, non è questo il punto. Tutto ciò che è acccaduto farebbe parte di una precisa strategia di hatebaiting, termine coniato dal cosiddetto clickbaiting, ovvero fare titoli “esca” (accattivanti o fuorvianti) per far sì che l’utente social “abbocchi” e regali una visualizzazione al proprio contenuto: “Oggi pubblicare articoli di hatebaiting è la norma. Basta pubblicare belle donne, gente ricca e/o famosa, immigrati, ebrei, perché sotto appaiano due o tre commenti ripugnanti. Sulla pagina Facebook della testata i numeri si possono tranquillamente quintuplicare”, scrive Zuliani.
“Chi scrive articoli pensi alle conseguenze”
Il giornalista osserva come questo fenomeno dei commentatori di “odio” trovi radici nel paravento dell’”anonimato, non nella convinzione politica. Nel fatto che i loro autori sono persone frustrate dalla sensazione d’irrilevanza che hanno come unica valvola di sfogo un sacchettino di pietre da tirare a chi vedono come rilevante, ebrei o immigrati, destra o sinistra”.

Ma non risparmia una critica anche a chi, in prima istanza, fu autore di un articolo sulla Segre di tale tenore: “E per la cronaca, questo dovrebbe valere anche per chi scrive articoli senza pensare alle conseguenze che avranno sulle persone, esponendole a rischi che prima di reinterpretare a la pénis du chien un report non correvano, e forse non avevano nemmeno bisogno di una scorta”.

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