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domenica 5 aprile 2020

Quella lezione del papa emerito Ratzinger all’egoista Germania: “Non bisogna dimenticarsi della storia”



Cos’è l’Europa? Il Covid-19 sta in qualche ponendo anche questa domanda. Il quesito è valido per tutti: dagli italiani ai tedeschi. L’Unione europea è di sicuro una delle emanazioni politico-organizzative centrali dei nostri tempi. Joseph Ratzinger, che è sempre stato un europeista convinto, ha chiarito nel 2011 quale dovesse essere la gerarchia valoriale in grado di muovere qualunque decisione potesse definirsi “politica” nel senso alto dell’espressione.

E in questi giorni, anche per via dell’ostruzionismo di alcune nazioni appartenenti all’Ue, tra cui quella tedesca, sugli strumenti economici che le nazioni del Sud del continente europeo domandano – quelli che vengono per lo più definiti “interventi straordinari” – , è balzata di nuovo agli onori delle cronache una riflessione del papa emerito.

Era già successo in passato. Come quando, in pieno dibattito sul “come” dovesse essere garantita un’accoglienza erga omnes, divenne virale la riflessione ratzingeriana sul “diritto a non migrare”. In questa circostanza, è lecito tornare a quanto dichiarato da Benedetto XVI presso il Bundestag di Berglino, ben 9 anni fa. Joseph Ratzinger, in quella occasione, è partito dal concetto di “giustizia”. Trattasi di una riflessione di natura filosofica e politologica. Parole che stanno tornando d’attualità. Tanto da essere state ripercorse pure da Milano Finanza.

Qual è la base di partenza di un politico? Benedetto XVI non ha dubbi: “Il suo criterio ultimo (quello di un politico, ndr) e la motivazione per il suo lavoro come politico non deve essere il successo e tanto meno il profitto materiale. La politica deve essere un impegno per la giustizia e creare così le condizioni di fondo per la pace”. Ma non sono tanto le indicazioni sull’etica di un singolo esponente politico quanto la complessiva visione ratzingeriana su come la solidarietà debba essere persistente sulla base del diritto, che non può mai venire meno in qualità di trait d’union fondativo della civiltà occidentale.

Perché quello che è “giusto” va sempre tenuto in considerazione. Anche se i meccanismi procedurali dovessero consentire vie d’uscita o deroghe di sorta: “In gran parte – ha tuonato nel 2011 Joseph Ratzinger, peraltro in presenza di Angela Merkel – della materia da regolare giuridicamente, quello della maggioranza può essere un criterio sufficiente. Ma è evidente che nelle questioni fondamentali del diritto, nelle quali è in gioco la dignità dell’uomo e dell’umanità, il principio maggioritario non basta: nel processo di formazione del diritto, ogni persona che ha responsabilità deve cercare lei stessa i criteri del proprio orientamento”. Viene dunque naturale domandarsi che cosa sia “giusto”. Una domanda cui soltanto le istituzioni morali, politiche, religiose e culturali sono deputate, almeno in alcuni casi, a rispondere.

Joseph Ratzinger, sul concetto di “giusto”, ha pronunciato parole cristalline, rimarcando come il cattolicesimo non abbia mai agito mediante imposizioni. Il messaggio che oggi rischia di dover essere riletto e reinterpretato da molti alla luce di quello che sta accadendo, con le trattative in corso con l’Unione europea e gli esponenti tedeschi e conla diversità di posizioni sulla necessità di adottare un certo grado di elasticità economica, però, è probabilmente quello in cui Benedetto XVI ha voluto ricordare all’Europa cosa significa davvero essere europei: “A questo punto dovrebbe venirci in aiuto il patrimonio culturale dell’Europa. Sulla base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini per il loro agire”.

La premessa è inappuntabile, ma la conseguenza è altrettanto priva di contraddizioni: “Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza”.

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