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mercoledì 14 agosto 2019
POLIZIOTTO CONTRO ONG: “RIPORTAVANO IN ITALIA EX DETENUTI ESPULSI: 10MILA EURO AL MESE”
Con le ong che assediano Lampedusa e i tribunali rossi che chiedono a Salvini di sbarcare i sedicenti minori a bordo, è importante capire chi sono i trafficanti umanitari delle Ong.
Ce lo racconta Lucio, addetto alla sicurezza privata della nave di una delle ong che operava prima di Salvini, Save the children, che ha dato vita all’inchiesta della procura di Trapani sull’Ong tedesca Jugend Rettet. Gemella di Sea Watche e Sea Eye.
«Durante i miei 40 giorni in mare abbiamo prelevato in tre occasioni dei migranti dalla nave Iuventa (messa sotto sequestro dalla procura di Trapani per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ndr). Una volta hanno sostenuto di averne soccorsi 300-400, ma attorno alla nave non c’erano né gommoni, né barconi. I trafficanti che li hanno accompagnati dalla Libia sono tornati indietro con i natanti per riutilizzarli. Poi, in ottobre, non solo io, ma chi era a bordo di nave Vos Hestia di Save the children abbiamo visto che dalla Iuventa si allontanava un barchino ad alta velocità, con due persone, verso la costa. A mio avviso erano gli scafisti che avevano appena concluso il trasbordo di circa 140 migranti».
L’appuntamento con gli eritrei: «Avevano appena sostituito il mediatore a bordo con un giovane italo-eritreo, che non parlava arabo ma tigrino. Guarda caso, solo due giorni dopo becchiamo un barcone con degli eritrei. Ed era stato il responsabile di Save the children a bordo a dare la posizione esatta al comandante. Nessuno dei migranti era in pericolo immediato di vita, ma li abbiamo recuperati lo stesso».
La chat dove gli scafisti comunicano l’arrivo dei barconi alle Ong: «So che i team leader di Save the children ricevevano sul proprio cellulare le coordinate delle posizioni dei barconi o gommoni dei migranti».
«A mio avviso sono coinvolte la Jugend Rettet (sotto inchiesta, ndr) di nave Iuventa e ritengo coinvolte anche tutte le Ong che ricevevano le segnalazioni». Quindi, anche quelle tuttora attive.
«Quasi sicuramente le posizioni venivano trasmesse o dal territorio libico o da telefoni satellitari in dotazione agli scafisti. Sembrava quasi che si trattasse di appuntamenti».
«Non abbiamo mai salvato qualcuno che stesse morendo. E i profughi veri erano circa il 20%. Per il resto si trattava di gente che voleva rientrare in Italia dopo un’espulsione, soprattuto magrebini. Alcuni mi dicevano: Ero in carcere nel tuo paese. Poi mi hanno espulso e questa è l’unica possibilità per tornare in Italia».
«A bordo c’era un professionista che riprendeva e fotografava tutte le operazioni. Secondo me per timore che la polizia potesse ricevere immagini compromettenti preferivano dichiarare di non averle».
«A me e all’intero team della Imi (la società di sicurezza ndr) è stato intimato di non scattare foto, di non avere contatti con le autorità di Polizia, con la Guardia Costiera e di omettere qualsiasi segnalazione che potesse portare alla individuazione di “scafisti” o di persone che detenessero qualcosa di illecito».
Postavano solo le foto ‘adatte’ per dare un’immagine falsa dei ‘soccorsi’: «Per esempio con una bambina siriana in braccio, una delle pochissime che andava aiutata. Questa foto è stata postata su tutti i siti di Save the children per ricevere donazioni».
PIOGGIA DI SOLDI – «Una dei membri dell’Ong a bordo ha detto: Ci sono piovuti addosso una pioggia di soldi dalla pubblica amministrazione, che non potete immaginare quanti. C’erano rapporti tesi fra i membri di Save the Children italiani e gli altri. In questo clima uno di loro un giorno è sbottato dicendo non è possibile che qualcuno fra noi pigli 10mila euro al mese…».
«Per fare del bene si può anche sbagliare, in buona fede, ma dopo avere visto, sentito, osservato, toccato con mano, non potevamo tacere. Non erano in buona fede, ma si trattava di qualcosa di pianificato e quindi doloso». C’è un piano per destabilizzare l’Italia attraverso gli sbarchi delle ong. Di questo piano sono complici politici, giornalisti e magistrati. Dobbiamo fare tutto per sventarlo. O siamo morti come popolo.
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